Leggenda antichissima delle Dolomiti e delle valli dei Grigioni parla della Lajadira. Era una plaga felice intorno a un bellissimo lago ai piedi delle Alpi, situato verso mezzogiorno, con a nord le “Sette montagne di Vetro”, le cui sponde erano piene fiori. Non è difficile indovinare che il lago era il Garda e le montagne di vetro i ghiacciai che lo coronano. La figlia del re della Lajadira, all’insaputa del padre, era fidanzata con un trovatore. I due andavano in barca per il lago e passavano ore felici mentre lui le cantava con l’arpa
“Dorme il lago, queta è l’onda,
vieni, o mia fanciulla bionda;
è già pronta la barchetta,
vieni al lido, ove t’aspetta;
queta è l’onda:
vieni, o mia fanciulla bionda”
Arrivò un re forestiero a chieder la mano della principessa e, nonostante i rifiuti, i parenti la costrinsero ad acconsentire. Finite le feste partirono per andare nel paese del forestiero. Passando vicino al lago la giovane sentì la canzone e le si strinse il cuore, ma nulla poteva più fare. Una sera giunse un vecchio trovatore e il re gli chiese notizia di altri. Egli raccontò di un giovane della Lajadira che cantava un’unica canzone, ma destava così vasto entusiasmo che le dame si toglievano i gioielli di dosso per gettarli a lui. Cantò la canzone dell’amico ed era la canzone che lei tante volte aveva ascoltato. La regina pianse e nulla riusciva a calmarla. I medici la visitarono e dissero che aveva una grave malattia, chiamata “la gran passione”, che aveva 3 gradi. I primi guaribili, ma il terzo senza rimedio. Poteva guarire solo se non avesse avuto nuove agitazioni e si fosse fatto ciò che desiderava.
La regina chiese di rivedere la Lajadira, ma le sue condizioni non lo permettevano, così fecero venire un pittore che dipinse un grande quadro del luogo. Intanto il vecchio trovatore aveva incontrato l’amico e gli raccontò della malattia della regina. Il giovane andò con l’arpa sotto le sue finestre e cantò per lei. La mattina seguente i medici constatarono che era entrata nel secondo grado di malattia. Quando riprese un po’ di forze disse che non sopportava vivere in un paese così piano, freddo e nuvoloso e voleva tornare alla Lajadira. Il re la rimproverò di averla sempre circondata di cure e se ne andò offeso. Passò il tempo e una notte d’estate il trovatore tornò a cantare quella canzone. Poche ore dopo i medici constatarono ch’ella era entrata nel terzo grado di malattia. Era inquieta e agitata e i suoi occhi grandi, ardenti di febbre, erano sempre fissi sul quadro. Cercarono il vecchio trovatore e lo fecero stabilire a castello, doveva cantare sempre la canzone dell’amico che pareva darle un po’ di sollievo. Un giorno la regina domandò notizie e il vecchio le raccontò che il poveretto aveva rinunciato all’arte e, fattosi soldato, era morto in battaglia in un paese lontano. Da quel giorno la salute andò peggiorando. Una sera, sembratole di sentirsi meglio, pregò tutti di lasciarla sola a riposare. Il mattino dopo la trovarono morta: la grande passione aveva soffocato il suo cuore, stanco d’aver tanto sofferto.
Suonarono le campane a lutto e si celebrarono riti solenni, ma non v’era un cuore che la piangesse, perché il solo che l’avesse amata era caduto in battaglia in terra straniera.
La leggenda non finisce qui. Racconta che, dopo la morte della regina, la Lajadira non ha più fiori ma dirupi, ghiaia e neve; non si trova più nel mezzogiorno assolato ma è stata trasportata nelle fosche montagne dei Grigioni, al di là del Cevedale e del Bernina, vicino allo Stelvio, nel più solitario e triste ambiente alpino, presso un lago ignorato, il “Lago del deserto”, chiamato “Lay da Rims”. Tra quei dirupi nessuno mette piede e nelle acque del lago vivono ancora, protette dalla fata Artelusa, le anime del trovatore morto e della regina innamorata.
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